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Care Ladies, oggi Maurizio, che avete già conosciuto nel precedente articolo Anno nuovo vita nuova: vi presento Maurizio Bignardi , ci parlerà di nostalgia, rimpianto per la gioventù perduta.

Una mattina di sole e vento di tramontana, la fragranza dell’aria pulita odorosa di salso. Vago nel vecchio centro storico dirigendomi verso via Balbi, strada signorile aperta nel ‘600 per ospitare i palazzi di quella famiglia, al tempo ricca e potente.

Banchieri della corte spagnola, anticipavano il denaro per i fasti regali della corte e le spese per le frequenti guerre contro la garanzia dell’oro ed argento delle Americhe.

Mecenati grandiosi richiamavano al loro servizio alcuni dei maggiori artisti della scuola locale, fra le più rappresentative ed originali del panorama italico all’epoca.

Entro nell’androne del palazzo di Francesco Maria Balbi. La penuria di spazio piano nella città, addossata ai rilievi della costa, ha dato origine ad un concetto architettonico unico alle dimore signorili del tempo: la strutturazione dei piani orizzontali confacenti al declivio naturale.

Cortili e colonnati sono collegati fra loro con rampe di scale di grande sapore scenografico. Al pian terreno lo scalone ospita sulle balaustre due magnifici leoni dormienti scolpiti: evocatori la potenza della famiglia, sopiti ma seppur vigili.

La penombra dell’androne fa vieppiù risaltare l’eleganza del cortile principale in pieno sole, dalle colonne binate su due ordini in perfetta euritmia di gusto bramantesco, mediato tramite Galeazzo Alessi, maestro di Bartolomeo Bianco”, autentico ” genius loci ” e primo architetto del palazzo.

Salite le scale provo una sensazione indefinibile. Manco dal posto da oltre quaranta anni; ivi sostenni l’ultimo esame del mio corso di laurea di Economia e Commercio. Lo scelsi anche se non attinente alla mia preparazione accademica.

Fu una casualità a farmelo inserire nel piani di studi; Storia delle Dottrine Politiche…. che mai poteva centrare con la preparazione alla professione che avrei svolto?

Fui spinto dalla curiosità, dalle circostanze drammatiche di quegli anni in cui l’estremismo di sinistra impazzava e una deriva rivoluzionaria scuoteva la società sin dalle fondamenta.

L’ambiente universitario era dominato da un ” pensiero unico ” di stampo marxista, al quale non mi ero mai avvicinato se non con letture superficiali ed evidentemente riduttive sul piano teoretico.

La scelta anche della facoltà di Scienze Politiche era stimolante: la ritenevo un’ immersione in una dimensione a me, sino ad allora, totalmente estranea. Perdonate la digressione e fatemi tornare alla attualità della mia esperienza.

Chiedo ad alcuni custodi la possibilita di visitare le stanze affrescate al piano nobile da alcuni dei maggiori artisti genovesi della prima metà del ‘600. Ignari dell’importanza delle opere e stupiti del mio interesse mi introducono ad un funzionario del rettorato che, gentilmente, mi accompagna ad una breve visita.

Lo stupore della vista in originale delle opere, in precedenza conosciute solo attraverso riproduzioni sui libri mi induce suggestioni profonde.

In particolare i soffitti di Valerio Castello esercitano un fascino profondo: un artista morto poco più che trentenne che, in piena temperie di gusto barocco, ricollegandosi alle precedenti esperienze manieriste del ‘500 di Parmigianino, dei Maestri Lombardi e, soprattutto, al divino sfumato “immaterico” di Federico Barocci, elabora uno stile straordinariamente anticipatore delle levità rococò del pieno ‘700 !!!

La visita, per ovvi motivi, non può prolungarsi a lungo ed il cortese funzionario mi riaccompagna all’uscita. Di sfuggita gli descrivo la mia esperienza d’esame di oltre quaranta anni prima e chiedo notizie sui miei professori.

Le risposte vaghe che ottengo mi colpiscono particolarmente: ho la sensazione di un passato così remoto delle mie esperienze da farmi appartenere all’ambiente quale un particolare architettonico, un sodale dei professori effigiati in busto o su lapidi impolverate dai lunghi anni trascorsi.

Ricordo il giorno dell’esame, era una giornata di febbraio di sole e frizzante come quella. Contrariamente al solito non ero particolarmente agitato, mi sentivo preparato e soprattutto, dal materiale che mi era stato assegnato per la preparazione, intuivo che il clima accademico dell’istituto non era allineato con il prevalente ” pensiero unico ” di stampo marxiano regnante nelle Facoltà di Scienze Politiche in misura quasi “ubiquitaria “.

L’impostazione degli autori dei testi sui quali mi ero preparato era principalmente di critica ai pensatori socialisti ed al materialismo storico e dogmatico marxiano. Presi trenta. Potevo ritenermi soddisfatto ma chiesi agli esaminatori una ulteriore domanda per ottenere la lode.

Divertiti mi obiettarono che avrei potuto compromettere la votazione ove avessi risposto in modo non confacente. Senza alcuna titubanza confermai la mia intenzione, in fondo era l’ultimo esame e non avrei pregiudicato in modo incisivo la mia media finale di corso.

Domandarono l’influenza del pensiero insurrezionalista di Blanqui nella formazione teorica di Karl Marx e le differenze sostanziali dalla precedente impostazione di Sorel, preconizzatore di una evoluzione socialista dello stato mediante la funzione esclusiva dello sciopero dei lavoratori.

Ebbi la lode; ricordo che tutta la commissione, in circostanze normali presente per regolamento ma abbastanza assente dal dialogo ad esclusione dell’esamitore, era accorsa ad assistere alla mia esposizione come ad un avvenimento insolito.

Specialmente il titolare di cattedra, un uomo sui settanta anni dal carattere palesemente abituato al comando e, presumo, di grande autorevolezza, volle complimentarsi personalmente.

Abituato al distacco che ” i baroni ” accademici esibivano nei confronti degli assistenti e, maggiormente, degli studenti, rimasi favorevolmente impressionato dal suo interesse.

Quel giorno all’uscita provai una sensazione di leggerezza e compiacimento che, in seguito, poche altre volte ebbi la soddisfazione di avvertire.

Tornando al presente riflettevo su quante poche analoghe occasioni di soddisfazione mi ha riservato la vita. La visione della bellezza assoluta delle opere d’arte ammirate, unite al piacevole ricordo dell’esperienza passata mi avevano comunque trasportato in uno stato d’animo di profonda serenità, non disgiunta da una sensazione di malinconia per l’irripetibiltà degli eventi e dal rimpianto delle tante altre occasioni che si erano presentate nella mia vita, che non avevo saputo cogliere appieno.

La giovinezza e l’irruenza che sovente ad essa si accompagna sono ostacoli che impediscono di assaporare l’essenza ed il significato delle nostre esperienze.

Ripercorsi la via del ritorno nella luce serotina con la consapevolezza che quelle giornate, passate e attuali, non sarebbero tornate mai più……….