A Parigi ciondolando come un flaner… Una delle cose che amo di più di Parigi è che non si finisce mai di scoprirla. Credo sia una delle città non solo europee più visitate. La sola Tour Eiffel, simbolo della stessa Francia mediamente attira ogni anno oltre cinque milioni di visitatori. Progettata dall’ingegnere Gustave Eiffel, per intenderci lo stesso che costruì la struttura interna della statua della libertà, da quando è stata ultimata nel 1889 ha contato circa 250 milioni di persone. (324 metri e 1665 gradini). Eppure ci si va, si torna, la si guarda, la si fotografa, si pensa basta non mi incanta più, non mi ammalia, non ci cado…e invece. Eccoci a ciondolare come flaner (parola introdotta da Baudelaire per indicare il gentiluomo che vaga per le vie cittadine senza una vera e propria metà) per scoprire ancora tessere nuove, che esistono, eccome se esistono, e le vediamo immortalate ovunque da moderni flaners che furbamente hanno compreso che Parigi è così che continua ad incantare con tessere di un mosaico mai scontato. E allora perchè non ripetere la frase di Enrico IV che sul suo cavallo da oltre due secoli troneggia sul Pont Neuf: “Parigi val bene una messa”. Forse discutibile moralmente quando venne pronunciata dato che il sovrano si convertì al cattolicesimo proprio per salire sul trono di Francia, e stava a significare che nessun sacrificio è troppo alto se si desidera qualcosa. E lui desiderava immensamente divenire sovrano nella Ville Lumiere. E ville Lumiere all’epoca si fa per dire dato che era una delle città più buie del mondo. Nel 1300 era illuminata la notte solo da tre lampioni e nel sedicesimo secolo i sovrani ordinarono che ogni casa mettesse una candela alla finestra dato che tutte le notti almeno 15 persone venissero uccise. Poi nella seconda metà del 1600 si pensò ad un sistema di illuminazione ambulante e così alcuni facchini muniti di torce si facevano pagare un un tot a cera consumata per accompagnare a casa le persone. Poi si passò a lampioni ad olio, poi a gas e infine l’elettricità illuminò ogni angolo della città. Ed ecco impossibile scordare che questa è una città di artisti e per artisti.. Un luogo prescelto! Ci sono delle parole che sono indissolubilmente legate a Parigi, come bistrot i tipici locali parigini il cui nome fu coniato al ristorante La mere Catherine a Montmartre quando i soldati russi durante l’occupazione del 1814 battevano i pugni sul tavolo e gridavano bistro che in russo significa presto. Altra parola che rimanda immediatamente a Parigi è bohemien, che con il moto “verità, bellezza, libertà, amore e maledizione”, è per gli artisti che qui creano ed espongono, ancora incredibilmente attuale, nonostante siano passati secoli da quando nel 1400 arrivarono in città un gruppo di nomadi , i bohemiens, zingari senza terreni, senza case, senza oggetti di lusso, ma con un’incredibile amore e passione per la musica e la danza. E nell’800 questo termine divenne il simbolo degli artisti che abbandonavano i mecenati e i protettori, e quindi sicurezza anche economica per vivere una vita sregolata e zingaresca ma più libera. Tanta arte che cresce e si rinnova e quartieri che mutano. Labirinti di stradine medievali con nuovissimi impatti architettonici. E già nel 1800 il barone Haussmann aveva rivoluzionato l’architettura di ampie zone della città. Solo il Marais, dove viveva la nobiltà cittadina sopravvisse quasi integralmente al cambiamento e oggi frequentato da artisti e personaggi famosi coniuga passato, presente e futuro.
Elisabetta: in Paris swinging like a flaner…