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Esistono luoghi dell’anima che non ti abbandonano mai. Sono i luoghi dove siamo nati, dove abbiamo giocato da bambini, dove abbiamo frequentato le scuole elementari o le scuole superiori. Sono i luoghi che ci danno una connotazione spaziale, quelli che, se anche dici di detestarli, prima o poi ci torni e c’è sempre un’emozione che ti tocca il cuore.
Per alcune persone questi luoghi sono persi per sempre. E’ quello che succede ai profughi, a chi non può tornare dove è nato e cresciuto e che, se anche, un giorno, ci torna, niente ha più il sapore di prima. E’ quello che è successo a trecento-trecentocinquantamila Italiani meno di settanta anni fa, allorchè dovettero lasciare tutto perché i luoghi della loro vita erano stati affidati ad un’altra Nazione, ad un’altra compagine politica. Una compagine politica che non avrebbe permesso loro di convivere pacificamente all’interno del nuovo Stato vincitore della guerra ma anzi avrebbe voluto sopraffarli per vendicarsi certamente del regime fascista che aveva governato per un ventennio ma anche per un disegno annessionistico che assunse i sinistri contorni di una pulizia etnica che affondava il suo rancore in dinamiche molto più antiche. Il 10 febbraio si celebrerà, in Italia, la Giornata del Ricordo in memoria dei massacri nelle foibe e dell’esodo giuliano-dalmata che, in pochi anni, dal 1943 al 1947, più o meno, svuotò intere città in Istria e in Dalmazia e costrinse la quasi totalità della popolazione italiana nativa di quelle terre a lasciare tutto, a migrare verso la madre patria che non li accolse aprendo loro le braccia ma, anzi, li guardò sempre con sospetto e con non poco fastidio perché, negli anni terribili del dopo guerra queste persone, Italiani sfortunati che avevano pagato per tutti una colpa non propria, venivano visti come potenziali concorrenti nella ricerca di un posto di lavoro. Ho avuto la fortuna di assistere al meraviglioso e commovente lavoro teatrale di Simone Cristicchi, Magazzino 18, un nome preso da un magazzino, appunto, effettivamente esistente a Trieste, dove i profughi depositavano le poche suppellettili che riuscivano a portarsi via in attesa di vedere se, un giorno, avrebbero potuto recuperarle per portarle nelle nuove case. Cristicchi è un artista italiano molto profondo. Non a caso riuscì a vincere nel 2007 il Festival della canzone italiana di Sanremo con un brano – Ti regalerò una rosa – che toccava il tema della pazzia, tema certamente non facile e non di moda, come certamente poco fashion, in Italia, è stato il tema dell’esodo di questa povera gente, solo da pochi anni riabilitata nel ricordo anche dei nostri testi di storia. Parlo di questi fatti perché il giorno del Ricordo, istituito solo nel 2004, cadrà tra qualche giorno e perché un profugo io l’ho conosciuto. Era il nonno paterno di mio figlio.
Un uomo mite, una persona onesta, un medico bravo ma quasi timoroso nel suo porsi con gli altri. Un uomo che, forse, non è mai riuscito a superare il dolore di avere perso non solo la posizione economica della sua famiglia ma un pezzo del suo cuore, quei luoghi della memoria, appunto, in cui non potè più tornare, se non come turista, anni dopo averli lasciati. Forse per questo non lo sentii mai alzare la voce e lo vidi sempre camminare senza fare troppo rumore. E’ la sorte che tocca agli esuli, ai tanti profughi, anche di questo tempo. Sempre un po’ ospiti, sempre tollerati, quando non proprio avversati come succede, purtroppo, ancora oggi anche in Italia con coloro che arrivano da realtà lontane e scappano dalle guerre, scappano da crimini spaventosi, chiedono asilo e l’ottengono, talvolta, non senza stenti. Ecco. Anche noi abbiamo avuto i nostri profughi e non abbiamo saputo accoglierli con amore benché fossero Italiani. Forse un po’ di memoria serve a tutti anche per avere uno sguardo diverso nei confronti di chi è costretto, ancora oggi, a scappare e a rifugiarsi in un luogo diverso per poter sopravvivere, appunto. Nessuno restituirà loro le loro terre, le loro case, il loro mare così come nessuno restituì mai al nonno Nino la sua casa a Pola, oggi Croazia, vicino all’arco dei Sergi.
Permettetemi di salutare il nonno Nino che non è più tra noi e se n’è andato in silenzio così come io l’ho sempre percepito. Permettetemi di regalargli una rosa, sia essa, solo, quella di stoffa sul revers della mia giacca.

Outfit: LA FABRIQUE jacket, CICI LONDON dress, EGO’ flat shoes

There are places which you can’t never forget. Places where you were born, which represent a symbol in your life. Today with Anna we talk about people obliged to leave their country.